lunedì 28 aprile 2008

PUBBLICITA' GRATUITA A DIARIO - bollino V

Ormai la rivista Diario è diventata un acquisto fisso.
Sono rapita dall'umorismo delle prime pagine con le notizie brevi.
Gli articoli all'interno sono interessanti e non convenzionali.

E poi c'è la rubrica di Paolo Stefanini, il giornalista.
Prende una notizia di cronaca, possibilmente un po' strampalata, e ne trae un piccolo racconto di fantasia.
Sull'ultimo numero lo spunto era la notizia del matrimonio tra Giuseppe Rebaudi, italiano di 101 anni, e Sylvie Basin, di anni 97.
Paolo dice:
Gli euro sono 7
I giorni sono 15 Le pagine 100. Buona Lettura.

Io ve ne allego una gratis.

L’impasto -Una lunga storia d’amore

I loro baci sono ridicoli, come tutte le cose dei vecchi quando fanno la caricatura dei giovani. Lui, Pietro, ha 101 anni, lei, Elisabetta, 97. Si sono sposati da una settimana e continuano la loro grottesca luna di miele da panchina. Derisi da tutti. Con garbo, ma derisi. Anche se a nessuno, tra i tanti che ghignano, è davvero chiaro se decidere di sposarsi a 101 anni sia un gesto di estrema maturità o d’immaturo estremismo.
Quando lui ha capito, la prima volta, di essere innamorato, doveva avere meno di
vent’anni. L’ha vista e ha pensato che se da bambino gli avessero chiesto di fare il disegno di una ragazza, l’avrebbe fatta proprio così. È stata, la sua, una gioventù inappagata, tutta segnata dall’assillo di piacerle. Una giovinezza avvelenata da un cinismo, che lui giurava essere solo una sconsolata perplessità. Ricorda interi decenni come una voglia continua di esserle indispensabile. In fondo, a ripensarci, la sua è stata tutta una vita di false presunzioni. Sono più le volte in cui lei nemmeno sapeva, di quelle in cui ha cortesemente rifiutato. E spesso deve aver frainteso lui. Il bruciore di stomaco, per esempio. Un’ulcera peptica farebbe sentire innamorati di un sasso. E le cosiddette coincidenze. Quella volta che lui e l’altro le avevano parlato lo stesso giorno della stessa cosa, e lei era rimasta tanto stupita. Argomento banale: il burro di cacao, gli pare. O quella che avevano visto la stessa stella cadente, distanti l’uno dall’altra almeno trecento chilometri. Lui credette che fosse destino. Era solo astronomia. Quante volte si era sentito credulo, e quante ridicolo. Quante sfortunato e quante ammalato. Da non capirci niente: una volta lei parlava il suo dialetto, un’altra una lingua straniera. Una volta voleva farlo smettere di bere, l’altra gli riempiva sempre il bicchiere. Una volta era bionda, la seguente mora. Riccia e poi liscia. Rossa, persino. Gli occhi blu e gli occhi neri, e poi verdi. E sempre: se da bambino gli avessero chiesto di fare il disegno di una ragazza, l’avrebbe fatta proprio così.
È stata una grandissima, e lunghissima, storia d’amore, la sua: ha amato più di cento
donne. Mai corrisposto. Perché a una donna, purtroppo, c’è in qualche modo da vendersi. E lui cosa aveva da offrirle? Forse il suo impasto di sogni e tristezza?
Questa Elisabetta non è certo come l’avrebbe disegnata da bambino, se glielo avessero chiesto. La pelle pendula, come la sua; le gote emaciate, la sdentatura, come la sua, l’anfanare al posto del respiro. E, nei baci, quel fiato dolce di mandarino avariato. L’ha conosciuta e dopo tre giorni ha deciso di sposarla. Perché in una donna bisogna imparare a riconoscere e ad amare quello che si odia in se stessi. O, più probabilmente, perché alla fine ha capito di non aver saputo mai, proprio mai, disegnare.
Paolo Stefanini

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